Erano i primi giorni del gennaio 2011.
Deambulavo euforico tra gli scaffali di una sconfinata libreria
dedicata al fumetto nel cuore di Ikebukuro, quartiere di Tokyo.
Cercavo i tankobon dei manga con i quali ero cresciuto, magari
qualche numero 1 di un classico, da sistemare nella teca del mio
studiolo e da adorare segretamente. Robe da nerd. Trovai un sacco di
belle cose ma non riuscivo a decidermi su quali comprare, non che mi
fosse rimasta tanta pilla verso la fine del viaggio. Finchè non mi
venne in mente Hiroya Oku il tettomane: le action figures di Gantz
non le avevo trovate e mi ero dovuto accontentare del Jojo meno
femminiello (Josuke), mentre in realtà io volevo Kishimoto e le sue
tette budinose. Perciò pensai di ripiegare su Gantz Minus che
all'epoca era uscito nel solo Giappone. Tra parentesi, in quei giorni
i cinema tokyesi proiettavano il film di Gantz, in anteprima.
Comunque, visto che non c'era modo di orientarsi in quel suq di carta
ed emozioni, mi rivolsi all'omino della cassa:
"Sorry, where i can find Gantz"
"Ganz?"
"Gantz!"
Il commesso si corruccia, si perplime,
probabilmente vorrebbe trovarsi altrove. Forse odia i gaijin.
"Gantz it's a manga by Hiroya Oku"
faccio io.
"AAAH, GANZO!" fa lui
risoluto, poi trotterella verso uno scaffale poco lontano, seguito
dal sottoscritto.
Alla fine mi sa che non comprai nulla,
in quella libreria lì. Gli unici fumetti che acquistai durante il
viaggio furono alcuni squallidi pornazzi da conbini. Li utilizzai in
seguito per la creazione di un fallimentare découpage, realizzato
ritagliando prima con pazienza certosina le zinnute figurine (al
solito grondanti umori vaginali), appiccicandole poi su una
superficie con una colla di qualche tipo, e infine ricoprendo il
collage con una vernice vetrificante che ha generato solo bozzi e
chiazze e insomma tutto da buttare. Gli esperti dicono che era
sbagliata la vernice, ma vallo a sapere quando fai del porno
bricolage.
Tre anni dopo questi eventi, Gantz è
bell'è concluso anche da noi. Minus l'ho comprato, giace in libreria
alla fine dei 37 volumi dell'opera originale, seguito dai dieci
volumi italiani di I am a hero (un bel manga di cui vorrei parlare
qui, prima o poi). 13 anni di vita editoriale non sono mica una
sciocchezzuola.
Che schifo cazzo. Siamo fatti di carne,
ossa e sangue e appena morti iniziamo a decomporci. Eppure a Tokyo
un'entità misteriosa concede a giovani e vecchi, donne e bambini
appena morti il lusso di risorgere in una stanza dove si trova una
grossa sfera nera. La sfera nera inizia a impartire ordini: dovete
uccidere tizio caio e ciccio, avete tot tempo. La sfera si apre
rivelando un arsenale di armi sciffì e costumi attillatissimi da
cosplayer wannabe. Nudi o vestiti, gli ospiti vengono teletrasportati
verso destinazione ignota senza alcun preavviso. E la caccia
inizia...
Questo è il plot di Gantz,
sintetizzato per voi dai laboratori Cutter.
(Oh, mi sono ricordato che una volta
andai a cercarne un volume che mi mancava nelle bancarelle vicino
alla stazione Termini, quelle dove si vendono libri e fumetti di
riciclo. Quando chiesi al negoziante se avesse qualche numero di
Gantz, mi rispose: "Che gantz vuoi!". Fine umorista. Forse sono io che lo
pronuncio male).
La ricetta di Oku per questo seinen
spettacolare è (quasi) sempre stata: azione al tritolo, tsunami di
gore, protagonisti minchietta, protagoniste arrapanti spesso nude e
crude e porche.
E i nemici più belli, grossi e
spaventosi che siano mai stati concepiti.
Altro ingrediente interessante sono i
reiterati capovolgimenti del racconto, una serie di twist acrobatici
e molto spericolati che mantengono (almeno nella prima metà della
serie) vivo l'interesse del lettore. L'autore ha continuato a
sovrapporre senza freno nuovi e affascinanti misteri in ogni
capitolo, senza preoccuparsi di contrarre quella che ormai è
conosciuta come la sindrome di Lost:
se non hai chiaro in mente come finirà, cazzo continui a ingarbugliare le
trame?
E così sul finale, quando si trattava
di quagliare con un climax dignitoso o perlomeno all'altezza della
prima tranche, la formula escogitata da Oku rivela al mondo tutta la
sua fragilità. Esaurita la spinta misteriosa, l'azione svilita a
qualche über papagna di quando in quando, persino coi disegni
svogliati e tirati via, Gantz si spegne su un plot da videogioco 8
bit, si accartoccia sulla morale del vetusto Zambot 3 (l'ha detto
l'autore!) e si rimangia tutte quelle promesse di rivelazioni
sconvolgenti che mi avevano fatto sperare nel manga seinen
definitivo. Forse perchè nel frattempo aveva fatto uscire La mia
Maetel, il sospetto che Oku si fosse bevuto il cervello si stava materializzando beffardo. Come puoi conciliare un talento votato
all'azione violenta con un lagnuso racconto di formazione sessuale
hikikomori? Ed è forse un caso che il manga si tinga
progressivamente di rosa man mano che avanza verso il nero oblio della fine? Una cosa bisogna riconoscere però: l'autore non cede
fino in fondo alle lusinghe dell'ovvietà, decidendo di consegnare lo
scettro di regina comprimaria alla bruttina della serie, Tae. Senza
tette, senza culo, senza espressione. Una scelta coraggiosa che
stimo. Seriously.
Di Gantz mi rimarranno impressi i primi
cinque traumatici numeri, la dicotomia boobs & blood, i decessi
improvvisi dei protagonisti che manco R. R. Martin nei suoi sogni
bagnati; i vampiri che ribaltano Ikebukuro, il giapponegro che
sforacchia migliaia di passanti, contrastato da due adepti dei
Wachowski; l'ipertrofico citazionismo, le continue strizzate d'occhio
all'iconografia pop occidentale. E molte altre meraviglie che fate
prima a leggerlo, lo consiglio senza remore nonostante lo scivolone
in dirittura di arrivo. Che scrivere un buon finale è un lavoro mica
da ridere.
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