Non so a voi, ma a me la cosiddetta
"trilogia del suicidio" m'ha fatto due palle così. Con
Outrage si tornava finalmente al rigido Beat-protocollo: mignoli
mozzati, brutali percosse, malavitosi che urlano ARROH BARROH ARRAH
NANDE RRAH ORREAH, sbirri corrotti, deferenze a 90°, e naturalmente
i meravigliosi tic di Tikano. Kitano.
Si tornava a sperare insomma.
L'eccessiva durata indulgeva talvolta nella noia ma ciò non
significa nulla, la noia è un fattore intrinseco al medium
cinematografico e bisogna saperci fare i conti. Anche Miike annoia.
Sion Sono annoia. Kurosawa (Kiyoshi, eh) annoia. Tsukamoto non
annoia, ma è un altro fottuto campo da gioco. Outrage narra per
l'appunto di un oltraggio, debito che si contrae facilmente negli
ambienti della yakuza, dove basta mezza occhiata storta al capo e
devi tagliare il dito. La faccenda è molto più grave: Otomo
(Takeshi Kitano) e la sua gang vengono incastrati dal boss Ikemoto in
una faida mortale, ordita dal capo supremo della famiglia Sanno,
deciso a sbarazzarsi delle famiglie scomode al fine di sbafarsi tutta
la torta tra estorsioni, pachinko, pornografia e speculazioni di
varia natura. La faida termina con lo sterminio totale dei membri
affiliati ad Otomo, il quale si salva in extremis affidandosi al suo
kohai (contrario di senpai) poliziotto, e finendo al fresco dove
morirà poco dopo pugnalato da un vecchio rivale.
Nel finale il vice-capo dei Sanno, il
servile e vessatissimo Kato, mette in scena l'ennesimo tradimento,
uccidendo il boss e prendendo possesso del clan.
Autoreiji: Biyondo inizia qualche anno
dopo gli eventi narrati nel precedente capitolo. Kato ha reso
possibile l'egemonia economica del clan, tuttavia alcuni capifamiglia
sospettano della strana dipartita del precedente boss e progettano di
rovesciarlo. Il complotto li porta a conferire con la potente
famiglia Hanabishi ad Osaka, nella convinzione che i rivali appoggino
il loro progetto di repentina destituzione del boss, ignorando però
l'alleanza che lega segretamente le due cosche. Al ritorno del
drappello a Tokyo infatti ci scappa il morto, che nonostante le
infinite prostrazioni e i salamelecchi, si becca un proiettile sul
grugno a monito per i poveri illusi con ambizioni sovversive. Il sospetto tuttavia s'è insinuato tra
le famiglie, e chi tenta di approfittarne è il solito sbirro
corrotto e doppiogiochista. Nel frattempo si scopre che Otomo era
sopravvissuto alle pugnalate, e sta per uscire dalla galera...
Il film parte lento e cerimonioso, si
concede qualche assaggio violento, prosegue ieratico con una mdp
leggermente più mobile rispetto al predecessore. Scene
misuratissime, che rilasciano piccole dosi di meravigliosa tensione
frustrata. Nulla sembra accadere nella prima metà del film, se non
chiacchiere, estenuanti riunioni al sakè e pochissime pistolettate.
In quest'atmosfera astratta, dove la civiltà umana è inesistente o
completamente ignorata, cova il Kitano beffardo pronto a scannare lo
spettatore con aggressioni di prim'ordine. Chi ne conosce la
filmografia sarà adeguatamente preparato. È un Kitano manierista di
sé stesso, eppure insolitamente fresco e brillante, con le paranoie
d'autore finalmente lasciate alle spalle, concentrato su ciò che sa
fare meglio. Molteplici i punti di contatto con i vecchi classici
quali Sonatine, Boiling Point, Violent cop, Hana-bi; è accantonata
però la vena più poetica, quella che andava accostando la pittura
alle esplosioni di straniante violenza. Estetica tutta concentrata
sulla fotografia, bandite le metafore, rimangono solo i burattini
manovrati dall'onore e le sue regole. Kitano calca la mano sulla
caratterizzazione dei protagonisti, ne esalta il lato grottesco fino
alla parodia, escogitando interessanti soluzioni. Su tutte troneggia
la scena del meeting tra Otomo, il suo compare Kimura e il gruppo
Hanabishi di Osaka. Contrapposti a un gruppo di yakuza vecchio
stampo, parlata biascicante e facce deformi (Lombroso docet),
troviamo un Kitano molto performante alle prese con una scaramuccia
estemporanea potenzialmente distruttiva. La rozzezza della
discussione, la crescente tensione fisica delle parti in causa, le
smorfie coreografiche, creano una sequenza al contempo esilarante e
drammatica, placata con garbo dal feroce gesto di autocannibalismo di
Kimura (si stacca un dito tra le fauci). Altri tipi o stereotipi, il
boss nippo-coreano dalla fronte altissima che suscita ilarità (ma
forse è un problema mio), il traditore che si piscia addosso tra
urletti e scongiuri, i bulli da fumetto affiliati a Kimura,
contribuiscono a rafforzare l'essenziale folklore di una società
impenetrabile come la yakuza.
Uomini con la fronte altissima |
Oltre l'oltraggio: la trama si
focalizza sulla doppia vendetta di Otomo e Kimura. In agguato, la
tortura che ognuno vorrebbe perpetrare al proprio peggior nemico;
chiude in bellezza, un epilogo tagliato con l'accetta. Contribuiscono
a consolidare il buon risultato un corretto equilibrio tra violenza e
humour, l'assoluta mancanza di una qualsivoglia morale a guastare la
visione, un intreccio narrativo complesso ma non ammorbante, attori
comprimari scelti con più criterio rispetto ad alcune facce da tonno
del primo capitolo. Kitano esce senza dubbio rinvigorito dalla
doppietta Outrage, a conferma delle teorie sulle sue cicliche cadute
e rinascite. Ha saputo ritrovare una poetica coerente come autore e
regista, in barba alla crisi che lo aveva investito lasciandolo
agonizzante e con un ciclo di film patetici da spiegare a un pubblico
esterrefatto. Nonostante il risultato sia certamente sottotono
rispetto ai capolavori del passato, dove era riuscito a distaccarsi
dal genere in modo imprevisto e naturale (ciclo che culmina col
sorprendente Zatoichi), la strada imboccata pare quella giusta, e noi
non possiamo far altro che chiedere, a gran voce, more of the same,
and glory to the filmmaker!
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