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lunedì 17 giugno 2013

OUTRAGE: BEYOND


Non so a voi, ma a me la cosiddetta "trilogia del suicidio" m'ha fatto due palle così. Con Outrage si tornava finalmente al rigido Beat-protocollo: mignoli mozzati, brutali percosse, malavitosi che urlano ARROH BARROH ARRAH NANDE RRAH ORREAH, sbirri corrotti, deferenze a 90°, e naturalmente i meravigliosi tic di Tikano. Kitano.
Si tornava a sperare insomma. L'eccessiva durata indulgeva talvolta nella noia ma ciò non significa nulla, la noia è un fattore intrinseco al medium cinematografico e bisogna saperci fare i conti. Anche Miike annoia. Sion Sono annoia. Kurosawa (Kiyoshi, eh) annoia. Tsukamoto non annoia, ma è un altro fottuto campo da gioco. Outrage narra per l'appunto di un oltraggio, debito che si contrae facilmente negli ambienti della yakuza, dove basta mezza occhiata storta al capo e devi tagliare il dito. La faccenda è molto più grave: Otomo (Takeshi Kitano) e la sua gang vengono incastrati dal boss Ikemoto in una faida mortale, ordita dal capo supremo della famiglia Sanno, deciso a sbarazzarsi delle famiglie scomode al fine di sbafarsi tutta la torta tra estorsioni, pachinko, pornografia e speculazioni di varia natura. La faida termina con lo sterminio totale dei membri affiliati ad Otomo, il quale si salva in extremis affidandosi al suo kohai (contrario di senpai) poliziotto, e finendo al fresco dove morirà poco dopo pugnalato da un vecchio rivale.
Nel finale il vice-capo dei Sanno, il servile e vessatissimo Kato, mette in scena l'ennesimo tradimento, uccidendo il boss e prendendo possesso del clan.
Autoreiji: Biyondo inizia qualche anno dopo gli eventi narrati nel precedente capitolo. Kato ha reso possibile l'egemonia economica del clan, tuttavia alcuni capifamiglia sospettano della strana dipartita del precedente boss e progettano di rovesciarlo. Il complotto li porta a conferire con la potente famiglia Hanabishi ad Osaka, nella convinzione che i rivali appoggino il loro progetto di repentina destituzione del boss, ignorando però l'alleanza che lega segretamente le due cosche. Al ritorno del drappello a Tokyo infatti ci scappa il morto, che nonostante le infinite prostrazioni e i salamelecchi, si becca un proiettile sul grugno a monito per i poveri illusi con ambizioni sovversive. Il sospetto tuttavia s'è insinuato tra le famiglie, e chi tenta di approfittarne è il solito sbirro corrotto e doppiogiochista. Nel frattempo si scopre che Otomo era sopravvissuto alle pugnalate, e sta per uscire dalla galera...
Il film parte lento e cerimonioso, si concede qualche assaggio violento, prosegue ieratico con una mdp leggermente più mobile rispetto al predecessore. Scene misuratissime, che rilasciano piccole dosi di meravigliosa tensione frustrata. Nulla sembra accadere nella prima metà del film, se non chiacchiere, estenuanti riunioni al sakè e pochissime pistolettate. In quest'atmosfera astratta, dove la civiltà umana è inesistente o completamente ignorata, cova il Kitano beffardo pronto a scannare lo spettatore con aggressioni di prim'ordine. Chi ne conosce la filmografia sarà adeguatamente preparato. È un Kitano manierista di sé stesso, eppure insolitamente fresco e brillante, con le paranoie d'autore finalmente lasciate alle spalle, concentrato su ciò che sa fare meglio. Molteplici i punti di contatto con i vecchi classici quali Sonatine, Boiling Point, Violent cop, Hana-bi; è accantonata però la vena più poetica, quella che andava accostando la pittura alle esplosioni di straniante violenza. Estetica tutta concentrata sulla fotografia, bandite le metafore, rimangono solo i burattini manovrati dall'onore e le sue regole. Kitano calca la mano sulla caratterizzazione dei protagonisti, ne esalta il lato grottesco fino alla parodia, escogitando interessanti soluzioni. Su tutte troneggia la scena del meeting tra Otomo, il suo compare Kimura e il gruppo Hanabishi di Osaka. Contrapposti a un gruppo di yakuza vecchio stampo, parlata biascicante e facce deformi (Lombroso docet), troviamo un Kitano molto performante alle prese con una scaramuccia estemporanea potenzialmente distruttiva. La rozzezza della discussione, la crescente tensione fisica delle parti in causa, le smorfie coreografiche, creano una sequenza al contempo esilarante e drammatica, placata con garbo dal feroce gesto di autocannibalismo di Kimura (si stacca un dito tra le fauci). Altri tipi o stereotipi, il boss nippo-coreano dalla fronte altissima che suscita ilarità (ma forse è un problema mio), il traditore che si piscia addosso tra urletti e scongiuri, i bulli da fumetto affiliati a Kimura, contribuiscono a rafforzare l'essenziale folklore di una società impenetrabile come la yakuza.  

Uomini con la fronte altissima

Oltre l'oltraggio: la trama si focalizza sulla doppia vendetta di Otomo e Kimura. In agguato, la tortura che ognuno vorrebbe perpetrare al proprio peggior nemico; chiude in bellezza, un epilogo tagliato con l'accetta. Contribuiscono a consolidare il buon risultato un corretto equilibrio tra violenza e humour, l'assoluta mancanza di una qualsivoglia morale a guastare la visione, un intreccio narrativo complesso ma non ammorbante, attori comprimari scelti con più criterio rispetto ad alcune facce da tonno del primo capitolo. Kitano esce senza dubbio rinvigorito dalla doppietta Outrage, a conferma delle teorie sulle sue cicliche cadute e rinascite. Ha saputo ritrovare una poetica coerente come autore e regista, in barba alla crisi che lo aveva investito lasciandolo agonizzante e con un ciclo di film patetici da spiegare a un pubblico esterrefatto. Nonostante il risultato sia certamente sottotono rispetto ai capolavori del passato, dove era riuscito a distaccarsi dal genere in modo imprevisto e naturale (ciclo che culmina col sorprendente Zatoichi), la strada imboccata pare quella giusta, e noi non possiamo far altro che chiedere, a gran voce, more of the same, and glory to the filmmaker!


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