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mercoledì 29 maggio 2013

LA CASA (2013)




Joss Whedon e Drew Goddard avevano creato il perfetto anti-remake di Evil Dead, The Cabin in the Woods (Quella casa nel bosco): che bisogno c'era allora di ferire in nostri sentimenti con questo rifacimento sciatto, ottuso, conformista, senza shaky cam, che non lascerà un cazzo ai posteri se non la chiazza di merda sulla memoria di un cult movie senza tempo?
Ma andiamo con ordine. Partiamo dalla Oldsmobile Delta 88 gialla. David (Shiloh Fernandez) incontra la sorella Mia (Jane Levy) seduta sopra il cameo automobilistico di cui sopra, proprio all'inizio del film. Implicito messaggio allo spettatore nostalgico: toh l'auto di Ash, piantala di stare sulla difensiva, rilassati e tutto andrà benone! E in effetti tutto sembra andare benissimo nella prima mezz'ora, se escludiamo le sagome di cartone degli interpreti, un branco di orate senz'anima. Certo il cast originale non vantava sti gran cultori dello Stanislavskij, ma almeno c'erano il carisma, la fisicità e il monociglio di Bruce Campbell, più l'energia della gioventù a reggere l'impalcatura del film (giacchè siamo in tema edilizio).
Nel 2013 abbiamo solo una patina d'apatia strisciante, belle facce vuote, tant'è che nel mucchio riusciamo a distinguere solo il carattere di Mia, la sorella tossica conciata da tossica ovvero l'espediente per giustificare la presenza degli "amici" (che la vogliono redimere) nella baita degli orrori, succursale di San Patrignano. Vago sentore di moralismo statunitense, barricato in botti di ruffiana mediocrità. Mia viene insomma costretta a una degenza forzata nella Casa, coadiuvata da amici et familiari del cuore: un freakettone stranamente antidroga (Lou Taylor Pucci) e la sua morosa (Jessica Lucas), David e la sua compagna (Elizabeth Blackmore). Viene buttato lì una sorta di pippone tedioso sull'assenza di David dalle vicissitudini familiari degli ultimi anni: scopriamo così che mentre lui badava ai fatti suoi, Mia badava alla madre pazza, colleghiamo sbadigliando i pezzi del puzzle, è chiarissimo perchè ha iniziato a farsi ma non ce ne frega nulla! Meanwhile, viene scoperto IL sotterraneo, ch'è pieno di gatti morti. Omg il voodoo, si decide di ripulire il fetido bordello e così salta fuori il libro dei morti, rilegato in pelle umana ed illustrato da capaci fumettisti. Gli eventi stanno per precipitare, l'atmosfera è greve; Mia decide che deve tornare a casa per procurarsi le sostanze. Ruba la macchina e derapa via, ma si è messo in moto anche l'ineluttabile: il capellone balordo ha letto tutti i brani nefasti dal Necronomicon! Per farlo utilizza lo stesso trucco del Drugo Lebowski con l'appunto di Ben Gazzara (che mostrava un tizio col cazzo duro): appoggia dei pezzi di carta sul libro e ci sfrega su il lapis, rivelando delle malefiche iscrizioni. Morte e distruzione si abbattono su quella casa: e qui l'iperrealistica, prolungata carneficina fa del suo meglio per scuoterci dal torpore senza lesinare sul gore, ed è cosa buona..
Ma.
Non conoscerai terrore più grande, recita lo spottone del film. Probabilmente lo spettatore americano medio, quello che sobbalza in poltrona durante la proiezione di Paranormal Activity rovesciando l'abnorme pitale di burro e popcorn, si sarà spaventato moltissimo. Il film annoia. Rinunciando a qualsiasi forma d'ironia, il racconto diventa una puerile scampagnata splatter fiaccata dall'assenza di idee registiche, che pure decretarono il successo dell'epopea di Ash. Scisso in due personalità piatte e deprimenti (fratello/sorella), l'eroe non offre alcuna immedesimazione, rimedia solo sbadigli e pernacchie. L'artigianale gusto naif lascia il posto al bignamino dell'horror contemporaneo, fatto di movimenti a scatti stile Sadako, armi postmoderne come la sparachiodi, assenza di zinne per non turbare i casti sogni degli adolescenti. E pensare che c'era anche un principio di tentacular rape nella scena del bosco animato...
A completare il tristo quadretto, una raccolta di dialoghi pietosi, che gettano grande enfasi su un genere di turpiloquio in voga ai tempi dell'esorciccio (quando parlano i cattivi). La cosa più seccante è però il gioco della citazione, che mastica e risputa sottoforma di bolo viscido tranci casuali di Evil dead 1 e 2.
E così il bagno di sangue nello scantinato diventa una mesta pioggia rossa nel finale (quanti galloni stavolta?), gli arti mozzati diventano tre, l'"inghiotti questo" rivolto ad Henrietta si trasforma nel rude "Sbrana questo, bastarda", e via citando a casaccio.
Che senso ha dunque quest'operazione? Non è un remake fedele, non è un film originale: è solo un'accozzaglia di ideucce malcagate ispirate a due grandi film, dove un eroe soverchiato dalle forze del male si faceva strada a colpi di motosega, fucile a canne mozze e battute memorabili.Non si pretende di mettere originale e remake sullo stesso piano, sono passati più di 30 anni; nè si pretendeva da Fede Alvarez lo spirito pionieristico del Raimi che fu. Si chiedeva una discreta attinenza con lo spirito originale. La foga di reinvenzione reboot(tante) soccombe sempre sotto l'onda d'urto generata dallo scontro tra la fotta da hype e la dura realtà.
All'industria del remake ormai non resta che saccheggiare il body horror. Ecco, un remake di From Beyond sarebbe una cosa buona, ma non Evil dead.

mercoledì 22 maggio 2013

A LONE DEVELOPMENT: LONE SURVIVOR


C'è un singolare aneddoto collegato alla mia scelta di scrivere su questo survival horror indie uscito nei negozi digitali esattamente un anno fa. Qualche sera fa seguivo gli ipertesti relativi alla figura di Jasper Byrne, il "lone developer" autore del gioco, per scoprire in seguito a una dozzina di click che l'eclettico giovanotto è un producer drum & bass, col nome da battaglia Sonic, per svariate importanti etichette (MetalHeadz e Hospital su tutte).
Una carriera che inizia nel 2000 ed include, tra le decine di produzioni, anche un remix dell'eccellente Pacman (2008) del celebre duo Ed Rush & Optical, dall'lp The Creeps. Ancora videogames dunque (Sonic, Pacman): si vede che la pulsione era irresistibile. Comunque, il fato volle che nella mia collezioncina di cd ci fosse proprio una delle migliori produzioni targate Sonic, raccolta nella compilation The Shopfloor Album che possiedo dal 2001; la traccia si intitola Stars ed è una bella scheggia di violenza old school, tornita e liquida il giusto, abrasiva quanto basta. Saltuariamente in collaborazione col compare Silver (altro nick in odor di Megadrive), ha prodotto negli anni una congrua quantità di ep, si è inserito in molteplici raccolte. Parliamo di ben 167 releases! Qui trovate la lista integrale (anf!).
Il punto è che Byrne, parallelamente, produce tutt'altro tipo di sonorità, molto distanti dall'aggressione perpetua tipica del sound d&b: immaginatevi la mia sorpresa nel riascoltare Stars, il tentativo di collegarla ai tenebrosi arrangiamenti (soprattutto strumentali) di Lone Survivor. Byrne si è infiltrato anche nella colonna sonora del successone Hotline Miami con ben due tracce: siamo dalle parti di un synth-pop anni '80, genere che di recente ha goduto di una bella rinfrescata, parallelamente alla riesumazione di certi aspetti di quegli anni bui che ci piacciono meno (abbigliamento, pettinature, jazzercize). Il basso pompa e la chitarra rockia (cit.), e tanto basta per garantire a Byrne un posticino nell'olimpo dei compositori per videogame, considerati gli illustri precedenti e l'encomiabile versatilità creativa. Naturalmente pagherei una bella cifra per sentire cassa e rullante sferzare le cartilagini a 1000 bpm su un gioco plasmato a modino sulle basse frequenze. E magari il progetto è già in cantiere, visto che Byrne abita a Tokyo (dove certe follie non sono certo invise): sperare non costa nulla.

Lone Survivor non è il primo videogame sviluppato da Byrne: due precedenti progetti sono usciti per Amiga, la macchina da homework per eccellenza, feticcio nostalgico di videoluders e techno producers fai-da-te. Si, era anche un mio feticcio: iniziai a creare i primi modelli in Pixel Art con un Amiga 1200, i primi video 2D con Deluxe Paint e mixer audio/video, e quindi i primi lavori pagati, quando avevo 16 anni. Il percorso di Byrne deve avere preso però la giusta piega, tanto da attirare l'attenzione di sua Maestà David "Frontier" Braben, che in tempi recenti l'ha trainato sul barcone di Kinect Animals, mega produzione per famiglie di cui poco ci frega, ma che sicuramente ha giovato alle finanze del povero Jasper. Non a caso, uno degli aspetti che caratterizzano il gameplay di Lone Survivor è la fame; in un'intervista, l'autore ha dichiarato di aver dato fondo a tutti i suoi risparmi durante la realizzazione del gioco, durata 4 anni, e di aver lavorato anche per 48 ore di fila nelle fasi di chiusura.. Per un clubber consumato non dev'essere stata troppo dura, qualche rimedio per la stanchezza sarà saltato fuori.. A conferma di questa tesi, poco dopo l'inizio di Lone Survivor riusciamo a scovare una fornitura illimitata di tre qualità di pillole dagli effetti variegati, il cui consumo (a discrezione del player) influisce sui 4 finali possibili.. Fame, stanchezza e dipendenza dalle droghe sono elementi prelevati dal reale che incidono sulla tensione emotiva provata dal giocatore. Fattori che distinguono Lone Survivor dalla routine del classico eroe survival: spara e squarta, sposta il mobile, mangia l'erbetta, affronta il boss e continua, sempre ebbro di vita e scoppiettante di salute.
L'anonimo protagonista di Lone Survivor è spesso logoro e strapazzato, sull'orlo della pazzia o dello svenimento, in preda a dubbi atroci e allucinazioni violente. Del resto, non saremmo conciati così anche noi in un mondo alla 28 giorni dopo? Chiude il cerchio la possibilità di completare il gioco evitando qualsiasi spargimento di sangue (di mostro): dovrete ragionare in termini strategici per adempiere alla vostra natura pacifica, e regalarvi il finale migliore.
Lo spessore del gioco non si esaurisce certo qua: sono presenti bivi, personaggi non giocanti, crafting tra oggetti per mangiare meglio e sudare meno, animali domestici e consolle portatili per passare il tempo e sentirvi meno soli, dialoghi a risposta multipla ed incubi sempre differenti, una trama per nulla scontata, dalle molteplici sfumature.. Artisticamente l'opera è superba nel suo minimalismo pixelloso, un grande tributo all'epoca d'oro delle avventure grafiche, al Nes, all'Amiga, al C64. La giocabilità risente talvolta del sistema di controllo via tastiera un tantinello macchinoso, specie quando si tratta di sparare con l'unica arma disponibile, una pistola automatica. E tuttavia sono leggerezze su cui si può e si deve sorvolare. Per le musiche, come già detto, siamo su altissimi livelli. Oh, dimenticavo: se volete provare Lone Survivor, esiste una demo in formato Flash a questo indirizzo: una prova sul campo vale più di mille parole, e poi di recensioni ce n'è già a bizzeffe che spiegano il gioco per filo e per segno, quasi sempre tessendone le lodi in modo sperticato. Un ottimo risultato per un gioco che su Steam viene quasi regalato (6,99 euro).

Conclusione: come può un uomo solo aver prodotto tutto sto ben di diavolo? E' il Lone Developer la figura di riferimento per il futuro videoludico?

Vi lascio al trailer.

venerdì 17 maggio 2013

AMONG THE SLEEP DEMO



Stavo per pubblicare una cosuccia su Lone Survivor (anche se è uscito l'anno scorso vale la pena di riflettere su alcuni spunti interessanti) quando è saltata fuori la demo di Among the Sleep, dei Krillbite Studio.
Lo studio in questione è appena riuscito a raggiungere l'obiettivo minimo dei 200.000 $ su Kickstarter (il celebre sito di crowd funding), con l'aggiunta mica risibile di altri 23k dollah a 41 ore dalla fine della corsa al finanziamento. Di giochi horror non ne escono mai abbastanza. Vi risparmio la filippica sulle ultime penose derive action dei maggiori brand del genere, che fanno schifo a tutti et cetera: il punto è che per un assaggio di brivido videoludico sono disposto a sorvolare su una marea di difetti, purchè il gioco abbia il giusto sugo. E dal sugo di Among the Sleep viene un buon profumo. Il punto di vista è piuttosto originale: nei panni di un bambino di due anni, visuale in soggettiva, iniziamo ad esplorare la stanza dove eravamo appisolati, gattonando con sprint tra arredi e giochi. Si prosegue nel percorso scavalcando e trascinando sedie o scatoloni per raggiungere punti altrimenti inaccessibili, mediante un metodo di interazione che ricorda l'adorato Amnesia. Una volta recuperato il fido orsetto (creatura oltremodo inquietante), il breve estratto giocabile ci porta per mano fino al confine tra sogno e realtà che fa da titolo, e che stranamente si trova nello scantinato (valà?). Tiriamo le somme: il movimento del bimbo è da vomito, non conta se avete macinato miliardi di fps, vi verranno sicuramente i capogiri, le vertigini o il colpo della strega nei casi peggiori. La grafica (come il suo motore) è datata ma pulita e va benone per un gioco indie. I pollici su vanno senza dubbio alle atmosfere, costruite su audio e direzione artistica, nonchè dalla sconcertante sensazione di guidare una creatura così atipica e goffa. Benchè sia ancora presto per stracciarsi le vesti, i presupposti per una bella esperienza ci sono tutti, basta che alla fine il protagonista non abbia la faccia di Lucius..
Se volete sovvenzionare ulteriormente il progetto, voilat la pagina Kickstarter.
In fondo alla stessa pagina trovate la demo per PC, Mac e Linux.
Ed ora il filmato di presentazione. Sogni d'oro.